lunedì 24 settembre 2012

XIV domenica del tempo ordinario - 8 luglio 2012


 

Dal libro del profeta Ezechiele 2, 2-5

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

 

Salmo 122 - -I nostri occhi sono rivolti al Signore.

A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.

 

Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.

 

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.


Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12, 7-10

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Lo Spirito del Signore è su di me:
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Marco 6, 1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci parla dello stupore, ma ne presenta due aspetti molto diversi. Dapprima infatti espone l’atteggiamento stupito dei familiari e compaesani di Gesù davanti alle sue parole e ai segni che compie, e poi, al termine, lo stupore di Gesù davanti alla reazione incredula e diffidente di quelle stesse persone. In entrambi i casi si tratta di stupore davanti a una realtà che non ci si aspetta, ma nel loro profondo esprimono due atteggiamenti diametralmente opposti. Infatti nel primo caso i familiari di Gesù si stupiscono dell’insegnamento che lui espone alla gente radunata nella sinagoga, che probabilmente lo ha visto fin da bambino partecipare alla preghiera, ma il loro meravigliarsi è pieno di stizza e fastidio perché il suo pensiero e agire si discosta così tanto dalla tradizione del villaggio, dal già noto, dalla scontatezza di una sapienza condivisa da tutti.

È la reazione di fastidio per la novità del Vangelo che istintivamente coglie la gente e che spesso accompagna il suo annuncio. Anche noi a volte infatti ci stupiamo di un vangelo che si discosta così paradossalmente dal buon senso e da ciò che è già noto e scontato. Il Vangelo risuona  sempre come un invito alla conversione, non è mai una benedizione acquiescente del già esistente, né tantomeno un aggiustamento di compromesso, e davanti alla realtà esso si pone sempre come un segno di contraddizione e una domanda di cambiamento. Lo stupore che diventa fastidio sono la reazione normale degli uomini che nasce dalla pigrizia e dal conservatorismo, come i familiari di Gesù, che non riconoscono più quel figlio della loro terra, parente carne della loro carne e noto fin da piccolo. Essi non si riconoscono più in quelle parole e in quei segni, ma questo è sempre vero per chi ascolta il Vangelo. Esso infatti non è lo specchio che riflette il mondo, il nostro volto, la realtà così come è, ma piuttosto è come una lente che cambia la visuale, fa mettere a fuoco tanti dettagli che nella confusione sfuggono e restituisce la visione vera della realtà non più sfocata o deformata dal nostro individualismo egocentrico.

Questa immagine del vangelo è più vera di quella che noi sappiamo avere di noi stessi, perché è come Dio ci vede e ci vuole: migliori, più misericordiosi e umani, meno aspri ed egoisti, ecc… Davanti a questa immagine di noi però, ci dice il Vangelo e ci conferma la nostra stessa esperienza, reagiamo stupiti e infastiditi, non la riconosciamo, fino a rifiutarla, preferendo la foto ingiallita o sfocata che ci siamo fatti di noi stessi: sarà un po’ artefatta, poco fedele, anche meno bella, ma è la mia!

Davanti a questo rifiuto anche Gesù si stupisce: “si meravigliava della loro incredulità.” È la meraviglia piena di tristezza davanti ad un rifiuto arrogante ed orgoglioso. È il rifiuto spocchioso di chi non sa che farsene della salvezza che Gesù è venuto a portare. Sì, quella gente crede di sapere già come è fatta e di cosa ha bisogno, come va la vita e dove arrivare. Possiede la certezza delle proprie idee e convinzioni. Perché dovrebbe accettare un vangelo nuovo, quando ne ha uno che gli si adatta a pennello? Perché cambiare, quando la realtà così come è li soddisfa? A che scopo convertirsi se si è convinti di sé?

Quella gente è forte nelle proprie convinzioni che vengono loro da una lunga esperienza acquisita fin da piccoli. Gesù è stupito davanti a tanta durezza e diffidenza, proprio da parte di coloro che per la familiarità che avevano con lui da lungo tempo avrebbero dovuto fidarsi e lasciarsi toccare dalle sue parole. Ma non basta la familiarità, dice Gesù: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” Spesso anche per noi la familiarità con Gesù, col Vangelo e con le cose della fede ci portano a renderle come delle sicurezze che ormai non ci chiedono più di cambiare. Stravolgiamo la loro natura perché assomiglino a noi, senza sforzarci invece di essere noi ad assomigliare a loro.

L’Apostolo Paolo nella seconda lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato riprende questo tema e afferma come la sua debolezza sia la sua vera forza. È il paradosso della fede cristiana: Gesù fatto uomo, umiliatosi cioè fino a perdere le prerogative divine, fino a farsi uccidere in croce, è salvezza del mondo, lui che non ha saputo nemmeno salvare se stesso! E la debolezza della carne, a cui Paolo fa cenno, parlando di una “spina”, lo rende più vulnerabile al vangelo, meno sicuro di sé e forte delle proprie certezze. È l’atteggiamento del discepolo che, ascoltando il Vangelo si stupisce sì, della sua novità, ma non lo rifiuta e accetta di specchiarsi in quel volto diverso, più umano che esso riflette di se stesso. Si rende così conto del bisogno che ha di cambiare le fattezze a volte deformate e brutte di un volto arrabbiato e triste, deluso, infelice e aggressivo. Invece di essere affezionati a come siamo, perché sentiamo così nostre le reazioni e i pensieri che ci vengono spontanei, lasciamoci attrarre dal volto bello, umano e misericordioso che Dio vuol farci scoprire specchiandoci nel suo Vangelo. Sì, non abbiamo paura a scoprirci goffi e caricaturali nel nostro essere tenacemente noi stessi, non difendiamo le nostre abitudini come fossero la parte più vera di noi. Accostandoci con fiducia a Gesù, alle sue parole e ai segni che compie nella storia scopriamo la bellezza di cambiare e di divenire più simili a lui. Questo ci libera dalla paura di ammettere il nostro bisogno e la mancanza di certezze incrollabili fuori dalle parole che Dio ci rivolge. È la potenza di cui parla Paolo, frutto del riconoscerci poveri e bisognosi e riempiti per questo dalla grazia che trasforma cuori freddi e duri in persone umane, figli e fratelli della vera famiglia del Signore che non si fonda sul sangue o sulla consuetudine, ma sul desiderio di essere discepoli suoi e non di se stessi.

 

Preghiere

 

O Signore ti ringraziamo perché non guardi alla forza e alla grandezza degli uomini, ma conoscendo i nostri cuori ci inviti a farci come te: umili servitori e fratelli generosi,

Noi ti preghiamo

 

Aiutaci o Dio a non disprezzare la novità del vangelo e a non preferire ciò che già conosciamo e sappiamo della vita. Aiutaci a cercare sempre, per tutta la vita di essere discepoli che seguono te e non se stessi,

Noi ti preghiamo

 

O Padre onnipotente ti preghiamo per tutti coloro che sono nel dolore e soffrono per la durezza della vita: per chi è anziano e malato, per i prigionieri e i senza casa, per chi non ha famiglia e protezione: salva e consola tutti,

Noi ti preghiamo

 

Suscita in noi o Signore un cuore di carne, capace di compassione e misericordia, perché sappiamo restituire il tanto ricevuto con generosità e affetto,

Noi ti preghiamo

 

Proteggi e guida o Dio tutte le famiglie dei tuoi discepoli che ogni domenica si riuniscono attorno alla mensa della parola e dell’eucarestia, perché siano testimoni di un vangelo che ridà vita e speranza,

Noi ti preghiamo

 

Sostieni o Signore Gesù chi è abbattuto e senza speranza, fa che l’incontro con te risorto sia per ciascuno occasione di conversione e ritorno a Dio,

Noi ti preghiamo.

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